mercoledì 23 giugno 2010

Senza morire mai

Motore. Ancora più su, attraverso quegli strati, spingere e sentire il gas che brucia, vivo possente. E ancora, a fianco, le lamiere vibranti, serrate, cucite nello scafo. Il canto di tutti quei cavalli brillare, e nello scudo giallo, il cavallo d'ombra che inerpica a colpire. Vento e vento, come musica per le corde della pinna, nel punto più alto del mezzo. Taglio sicuro. Fulmine.

In tutto il corpo, da dentro le vene, con un fluido di sabbia e cenere sino al cervello e da qui, come fiotti di gas puro. Il tempo, quasi sospeso, ingloba nelle tempie tutta la tensione del balzo. L' A-E-R-O-P-L-A-N-O, esso, da terra, sembra pesante e ingombro di ossute paratie grossolane. Miraggio degli ingegneri più arditi, che nello scoprire le sottili leggi, armano la fisica di un nuovo gettito creativo: la scoperta dello spazio. Il vuoto che canta.

Sopra Lugo, gli amati campi del tempo d'infanzia, correvano dolci e fluivano sotto le ali; non provavo dolore nella perdita, perché ora avevo il mio cavallo. Il cavallo dei venti, lo SPAD S.XIII. Un'elica imponente ancor prima che la massa del muso apparisse alla vista. Lì vi erano cuore e polmoni della bestia.
Scodava a tratti appena sollevata la pancia e compiva, a certe riprese esatte, borbottii del carburatore fino su ai 70 metri. Poi si apriva.

Il sole sotto le nuvole era irrinunciabile e pochi prima di noi avevano goduto il mondo da quelle prospettive. Spingersi con garbo, ma per necessità, nella guerra dei cieli e se serviva lasciarci anche la pelle.


.....


É da destra che arriva quel sibilo di proiettile. Sono troppo basso! Da destra lo sento; non lo vedo. Ma è li, e sono troppo basso! Stacco il pedale porto su il muso, e poi più a sinistra! Non c'è. Ancora più su, più su! Ma sono ancora basso, troppo basso.

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